Modificare foto: i migliori programmi gratis

Mercoledì 05/04/2017 20:02

Ritocca le foto, modifica le foto… quante volte lo abbiamo fatto? Creare divertenti fotomontaggi o realizzare dei collage: le esigenze di chi cerca un programma di modifica foto sono le più disparate e spesso trovare il software adatto alle nostre esigenze può diventare un gran problema; in fin dei conti il programma per antonomasia è Adobe Photoshop.

Alla fine basta scaricare il suddetto programma (anche pirata!) e siamo contenti…..salvo poi vedere che non è alla nostra portata e non possiamo passare ad un versione regolare del programma Adobe per via del suo elevato costo (svariate migliaia di euro).

Per questo abbiamo raccolto in questa guida i migliori programmi per modificare le foto gratis e senza problemi di licenza o crack, in grado di soddisfare le nostre esigenze casalinghe in termini di fotoritocco.

Per chi non vuole installare nulla segnaleremo anche i migliori programmi gratis disponibili online: veloci, pratici ed economici, l’ideale per portarci dei potenti strumenti di fotoritocco su qualsiasi PC capiti a tiro.

Se state cercando un modo o un’app di modifica foto con il vostro smartphone o tablet Android, allora l’articolo che fa per voi è al seguente link:

Modifica foto: migliori programmi gratis

FotoWorks XL

FotoWorks XL è uno dei programmi forse meno noti nella lista ma che merita la vostra attenzione perché dotato di tutte le funzionalità più famose dei ben noti software di fotoritocco. Completo, facile da utilizzare e ricco di funzionalità di foto ritocco, questo programma presenta tante delle caratteristiche di correzione più ricercate dagli utenti, il tutto organizzato in una interfaccia intuitiva e di semplice utilizzo.

Troverete delle icone chiare e ben disposte nella schermata iniziale e lingua Italiana: è compatibile con tutte le versioni di Windows, dunque sicuramente FotoWorks XL è una valida alternativa al più noto Photoshop per chi cerca un programma in grado di modificare foto e immagini. Esistono tanti software per modificare e ritoccare immagini ma la semplicità di FotoWorks XL vi sorprenderà.

Sono presenti anche tanti filtri facili da applicare che basterà selezionare dall’apposito menu. Oltre alle funzioni di correzione e fotoritocco, offre la possibilità di creare dei bigliettini personalizzati, brochure, depliant e un calendario personalizzato con le proprie foto.

DOWNLOAD | FotoWorks XL

GIMP

Non poteva mancare il programma di modifica foto gratis che più di altri si distingue per qualità degli strumenti messi a disposizione; considerato da sempre il miglior rivale di Photoshop. 

Acronimo di GNU Image Manipulation Program, questo programma di modifica foto gratis è la soluzione più completa per l’editing delle immagini.

GIMP è open source, diventato dopo molti anni un software in grado di competere con il software di Adobe anche grazie alla collaborazione della comunità, che ha portato numerosi effetti e plugin.

C’è poco altro da aggiungere: GIMP è molto potente come software di fotoritocco e permette di lavorare con una miriade di formati differenti; inoltre funziona per layer, come Photoshop. Davvero numerosi i plugin, in grado di soddisfare anche l’utente più esigente; l’uso è più complicato di altri programmi per i principianti, anche perché molte funzioni non sono automatizzate.

Ma nulla di davvero complesso: ci sono centinaia di guide e video sul Web sull’utilizzo di questo programma.

Compatibile con Windows, GNU/Linux e OS X, questo programma di modifica foto gratis è disponibile anche in versione portable. Se dovete modificare foto, non potete non provare GIMP!

DOWNLOAD | GIMP

DOWNLOAD | GIMP (portabile)

Paint.NET

Molti evitano questo potente programma perché per assonanza ricorda Paint, il software di fotoritocco basilare presente da sempre in Windows. Niente di più sbagliato!

Questo è un programma di modifica foto gratis tra i più completi e versatili del settore. Nonostante il nome, il programma di getpaint.net è un software più potente del Paint di Microsoft, con cui non condivide nulla.

Numerosi i suoi punti di forza: è in italiano, è gratis e con così tanti parametri e funzionalità da sembrare quasi una suite a pagamento!

Anche in Paint.NET possiamo lavorare per livelli ed integra una cronologia delle azioni per tornare facilmente sui tuoi passi in caso di errore. Ha numerosi strumenti automatici e tanti filtri ed effetti preimpostati e manuali.

Il programma è molto intuitivo e facilmente accessibile anche ai meno esperti ma, se abbiamo anche esigenze semi-professionali, GIMP resta ancore superiore per molti aspetti. Vivamente consigliato per i principianti. Compatibile con Windows.

DOWNLOAD | Paint.NET

Photoscape

Programma di modifica foto gratis molto meno famoso rispetto ai precedenti, ma non per questo meno potente. Al pari di GIMP anche Photoscape è un programma per il fotoritocco gratis, con il vantaggio di essere molto veloce, consumando pochissime risorse, l’ideale per PC non recenti. Photoscape include tutti gli strumenti necessari all’editing fotografico ed è anche il programma più intuitivo per la modifica foto.

Rispetto ad altri programmi permette di creare mosaici e murales automaticamente tramite batch precompilati. Di contro ha però un’interfaccia non all’altezza dei concorrenti, che rende meno piacevole lavorare sulle immagini, e un supporto limitato alle immagini RAW. Resta comunque un valido programma per modificare al volo qualche immagine o per creare velocemente specifici lavori grazie ai numerosi batch già pronti all’uso.

Link download | Photoscape

Modifica foto gratis: siti online

PicMonkey

Se non volete scaricare nulla sul proprio PC, PicMonkey è l’editor fotografico che fa per voi. Trattandosi di una web app, basta un browser qualsiasi per modificare le immagini, applicare effetti e filtri.

L’editing offre il minimo indispensabile per la modifica foto (siamo ben lontani dai programmi professionali), ma c’è tutto il necessario per modificare al volo le foto. PicMonkey è più simile a Picasa, dato che permette di applicare effetti e filtri in automatico proprio come il programma Google. Supporta anche il copia-incolla diretto dal computer al browser.

Link home | PicMonkey

iPiccy

A prima impressione potrebbe sembrare un sito fornito da Apple (per via dell’iniziale) ma non ha nulla a che fare con Cupertino: iPiccy è un valido sito di modifica foto online. 

Si tratta di un servizio online estremamente semplice da usare che permette di modificare tutti i principali formati di foto digitali sfruttando una vasta gamma di strumenti (es. ritaglio, ridimensionamento, rimozione rughe ecc.) e filtri applicabili con un click o poco più.

Link home | iPiccy

Pixlr

Se siete già abbastanza pratici con i programmi di fotoritocco e avete già una certa familiarità con Photoshop, vi consiglio caldamente di modificare le foto online usando Pixlr, un servizio Web per la modifica delle immagini che presenta un’interfaccia vagamente familiare.

Per usarlo basta collegati alla sua home page e clicca sulla voce “Open photo editor” per accedere all’editor del sito. Ciò che sorprende del sito è l’estrema somiglianza grafica con Photoshop: ci ritroviamo al cospetto di un’interfaccia (completamente in italiano) quasi uguale al famoso programma a pagamento, e non mancano i filtri e le funzionalità avanzate (anche se ovviamente non siamo ai livelli della controparte a pagamento).

Davvero uno dei siti più interessanti per modificare le proprie foto online.

Link home | Pixlr

Adobe Photoshop Express Editor

Forse per rispondere alla concorrenza Adobe non si è tirata indietro ed offre ai propri utenti una versione web “lite” del suo famoso programma. 

Non sarà sicuramente paragonabile alla versione installabile ma è gratis e offre un sacco di strumenti per l’editing di base e la modifica foto, l’ideale per l’utilizzo domestico. Abbastanza facile da utilizzare, peccato per la presenza della sola lingua inglese.

Link home | Adobe Photoshop Express Editor

Spero che la lista sia di vostro gradimento: se avete altri programmi, servizi o app di modifica foto da segnalarci non esitate a lasciarci un commento!

L'articolo Modificare foto: i migliori programmi gratis appare per la prima volta su ChimeraRevo - Il miglior volto della tecnologia.



Fonte: www.chimerarevo.com
Script Linux per trovare tutte le informazioni sullo stato del sistema

Script Linux per trovare tutte le informazioni sullo stato del sistema

Martedì 21/05/2024 20:31

Gli amministratori di sistema e gli utenti hanno a disposizione una serie di comandi per conoscere le informazioni sulla macchina in uso. Il problema è che spesso, soprattutto in ambiente Linux, non si ricordano i comandi da impartire per ciascuna esigenza. Quello che vi proponiamo è uno script Linux all-in-one che consente di ottenere rapidamente una panoramica completa dello stato del sistema, facilitando la risoluzione dei problemi, la gestione delle risorse e il monitoraggio delle prestazioni.

Invece di eseguire singolarmente numerosi comandi per raccogliere le stesse informazioni, lo script le fornisce in modo organico e leggibile. Ciò consente di risparmiare tempo, soprattutto quando si lavora su più macchine Linux o in scenari in cui è necessario un rapido controllo della configurazione del sistema. Lo script è facilmente personalizzabile e può essere esteso per includere ulteriori informazioni o funzionalità specifiche in base alle esigenze dell’utente o dell’ambiente di lavoro.

Come funziona lo script Linux per stabilire la configurazione di sistema

Lo script Linux che vi proponiamo dovrebbe essere compatibile con qualsiasi distribuzione del pinguino. Senza neppure richiedere i privilegi root, permette di estrarre una serie di informazioni sullo stato del sistema mostrandole in maniera chiara e ben organizzata.

Le informazioni che lo script è in grado di recuperare e visualizzare

Riportiamo le informazioni che, nella versione attuale, lo script è capace di recuperare e visualizzare automaticamente:

  • Connessione Internet: verifica se il sistema è connesso a Internet eseguendo un ping su google.com. Questa informazione è utile per capire se ci sono problemi di connettività di rete. Ovviamente, se il server DNS configurato non rispondesse o ci fossero problemi con la cache dei nomi di dominio, allora l’informazione riportata (Internet: connessa/disconnessa) potrebbe non essere attendibile. Si può eventualmente modificare lo script digitando nano ./linux-status.sh quindi modificare ping -c 1 google.com con ping -c 1 8.8.8.8 per non chiamare in causa il resolver dei nomi di dominio.
  • Informazioni sul sistema operativo: la sezione seguente indica la versione del sistema GNU/Linux, l’architettura utilizzata e la release del kernel.
  • Hostname e indirizzi IP: lo script visualizza il nome assegnato al sistema oltre agli indirizzi IP privati e pubblici. Per ciascuna interfaccia di rete, lo script Linux espone l’indirizzo associato e recupera del servizio IPecho, l’IP pubblico assegnato al router. Ovviamente, al posto dell’indirizzo specificato, si può usare qualunque altro servizio utile a trovare l’indirizzo IP.
  • Server DNS: mostra i server DNS configurati sul sistema. Sono sistemi essenziali per la risoluzione dei nomi di dominio.
  • Utenti connessi: elenca gli utenti attualmente connessi al sistema. Si tratta di un’informazione utile per l’amministrazione del sistema al fine di monitorare l’attività degli utenti.
  • Utilizzo di RAM, SWAP e disco: fornisce un riepilogo dell’utilizzo della memoria RAM, dell’area utilizzata per lo swapping su disco e dello spazio complessivamente occupato. Il mountpoint è una directory del file system in cui viene montata un’altra risorsa, come un dispositivo di archiviazione (disco rigido, partizione, dispositivo USB), un file system remoto (condivisione di rete) o un file system virtuale.
  • Partizioni su disco: elenca tutte le partizioni presenti, per ciascuna unità. Lo script specifica file system, le dimensioni, il mountpoint e l’etichetta.
  • Carico medio e tempo di attività del sistema: mostra il carico di lavoro del sistema in termini di valori medi e il tempo di attività (uptime).

Scaricare e impostare lo script Linux

Come primo passo, è necessario scaricare lo script utilizzando il seguente comando (assicurarsi di rispettare le lettere maiuscole e minuscole):

wget -O linux-status.sh https://bit.ly/3wFNVcN

Ricorrendo al comando che segue, è possibile rendere eseguibile lo script linux-status.sh e assegnargli i relativi permessi:

chmod 755 linux-status.sh

Eseguire lo script e raccogliere informazioni sul sistema

Per avviare lo script e mostrare subito le informazioni sullo stato della macchina, è sufficiente digitare quanto segue:

./linux-status.sh

Avviando lo script come ./linux-status.sh -i, il suo contenuto è copiato nella directory /usr/local/bin con il nome linux-status. Dopo aver digitato la password root, per eseguire lo script da qualunque locazione di memoria, d’ora in avanti basta semplicemente digitare linux-status e premere Invio.

Per esaminare il contenuto dello script Linux prima ancora di usarlo sui propri sistemi, è possibile dare un’occhiata a questa pagina. Diamo per scontato che sulla macchina Linux sia presente l’utilità wget, necessaria per acquisire l’indirizzo IP pubblico.

Credit immagine in apertura: Copilot Designer.



Fonte: www.ilsoftware.it
Come funziona l’app Gemini per Android, disponibile in Italia

Come funziona l’app Gemini per Android, disponibile in Italia

Mercoledì 05/06/2024 13:00

Google ha reso disponibile anche nel nostro Paese la nuova app Gemini per Android. Si tratta di uno strumento che rappresenta l’evoluzione dell’assistente Google e che introduce in maniera preponderante l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei modelli generativi dell’azienda di Mountain View.

Che Gemini sarebbe stata proposta come il sostituto di Google Assistant, lo si sapeva già da tempo. D’altra parte, l’applicazione raccoglie sotto un unico ombrello gran parte delle novità introdotte nel corso di anni sotto forma di prodotti e servizi separati.

Gemini è innanzi tutto un chatbot accessibile da questa pagina ma, grazie all’app per Android installabile sin da oggi, è uno strumento multimodale che si avvantaggia delle funzionalità dei dispositivi mobili. Ad esempio, è possibile scattare una foto di una gomma a terra per chiedere istruzioni su come cambiarla o ottenere aiuto per scrivere un messaggio di ringraziamento. Ecco perché Gemini è multimodale: l’utente può abbinare alle richieste testuali anche elementi multimediali e l’applicazione stessa può produrre diverse tipologie di contenuti.

Come usare l’app Gemini per Android

Scaricabile dalla pagina ufficiale pubblicata sul Play Store, Gemini si installa con un paio di “tocchi”. Al primo avvio, l’applicazione avvisa che Gemini andrà appunto a rimpiazzare il tradizionale assistente Google, pur precisando che al momento non ne supporta tutte le caratteristiche.

Gemini, inoltre, raccoglie informazioni sulle attività svolte con il dispositivo, anche per tramite dell’assistente Google, e le usa per aiutare l’utente nella sua routine quotidiana. Nelle impostazioni dell’applicazione si trovano i risultati personali, che in qualunque momento consentono di verificare le informazioni riguardanti l’utente stesso.

Per accedere a Gemini su Android, una volta installata l’app, si può scorrere con il dito verso destra oppure dicendo “Ehi Google”, esattamente come si faceva in precedenza con il classico assistente. Ancora, su molti smartphone è possibile richiamare Gemini tenendo premuto per qualche istante il tasto Home (quello circolare in basso).

Un motore contestuale che funziona in qualunque app Android

I portavoce di Google tengono a sottolineare come Gemini rappresenti un primo importante passo verso la creazione di un vero assistente digitale basato sull’intelligenza artificiale: conversazionale, multimodale e utile.

Gemini può essere considerato anche come un “assistente contestuale”: richiamandolo mentre si sta visualizzando una pagina Web, un’email o qualunque altra app, è possibile accedere a funzionalità avanzate. L’IA riconosce infatti l’applicazione in uso e permette di abilitare automaticamente tutta una serie di elaborazioni sui contenuti in corso di visualizzazione.

Ad esempio, nel caso di una pagina Web si può selezionare Aggiungi questa schermata per fare in modo che Gemini svolga attività di inferenza sul contenuto selezionato.

Avviando normalmente l’app Gemini, ci si trova di fronte a un chatbot intelligente che riceve in input indicazioni testuali e vocali, eventualmente supportate da immagini. Nella parte superiore della schermata, si trovano alcuni suggerimenti per provare subito Gemini. Questi riquadri possono essere eventualmente rimossi scorrendo verso sinistra quindi selezionando Nascondi suggerimenti.

Informazioni condivise con Google per l’addestramento continuo del modello

Con un messaggio mostrato al di sopra del riquadro Che cosa vuoi fare oggi?, Google mette in evidenza il fatto che alcune chat possono essere sottoposte a revisione umana per migliorare il comportamento dei modelli generativi Google. Per evitare la condivisione di informazioni personali, è sufficiente toccare Gestisci l’Attività quindi porre su Disattiva il menu a tendina Attività delle app Gemini. La scelta può essere confermata da browser Web, previo accesso al proprio account utente Google, portandosi nella pagina La tua Attività delle app Gemini. Per eliminare anche tutta la cronologia di Gemini, si deve scegliere Disattiva ed elimina l’attività.

La pagina proposta da Google pecca probabilmente di un po’ di chiarezza: è in ogni caso necessario cliccare su Disattiva oppure su Disattiva ed elimina l’attività per evitare che i dati siano trasferiti sui server dell’azienda guidata da Sundar Pichai. Se e solo se La tua Attività delle App Gemini appare come in figura, si è effettivamente provveduto ad eliminare tutte le informazioni, bloccando i futuri trasferimenti di dati.

In ogni caso, le chat sono salvate nell’account dell’utente per un massimo di 72 ore, indipendentemente dal fatto che l’impostazione precedente sia abilitata o disattivata.

Il futuro di Gemini

I prossimi passaggi, già svelati dai tecnici di Google, porteranno innanzi tutto Gemini anche su iOS. Saranno quindi rese disponibili una serie di estensioni, per interagire con una vasta gamma di applicazioni, oltre a Gemini Live. Quest’ultimo si propone come un sistema di interazione di tipo conversazionale che consente di gestire veri e propri dialoghi con l’intelligenza artificiale Google.

È simile a ChatGPT Voice di OpenAI, con la differenza che Gemini Live propone sin da subito modelli vocali ottimizzati per sostenere dialoghi in italiano. Sebbene infatti il meccanismo di ChatGPT basato sulla sintesi vocale sia da tempo disponibile sotto forma di applicazione Android, il risultato non è ottimale perché tutte le voci integrate hanno uno spiccato accento inglese-americano.

È facilmente ipotizzabile, inoltre, che Gemini Live possa enfatizzare sin da subito l’integrazione con altre piattaforme, come Android Auto.



Fonte: https:
Il comando che trasforma Ubuntu in un sistema di sviluppo completo, bello e moderno

Il comando che trasforma Ubuntu in un sistema di sviluppo completo, bello e moderno

Mercoledì 12/06/2024 08:30

Ubuntu è una delle distribuzioni Linux più adottate ed è talvolta preinstallata su alcuni sistemi. Anche se Ubuntu integra un ottimo package manager come apt, molti strumenti richiesti dagli sviluppatori non sono disponibili o necessitano di configurazioni post-installazione.

In generale siamo contrari ai “vestiti per tutte le stagioni”: l’ambiente di lavoro, dopo l’installazione del sistema operativo, dovrebbe essere personalizzato a seconda delle esigenze di ciascun utente. E le necessità di una singola persona, evidentemente, non sono sovrapponibili con quelle degli altri utenti.

Ci sentiamo però di consigliare Omakub, una raccolta curata di applicazioni e strumenti che uno sviluppatore potrebbe scoprire soltanto dopo ore ed ore di ricerche in rete. L’obiettivo è permettere a chi proviene da piattaforme come Windows e macOS di iniziare immediatamente a utilizzare un sistema Linux preconfigurato, senza dover dedicare tempo alla configurazione e alla selezione dei tool migliori.

Un comando per trasformare Linux in un sistema completo e moderno per ogni sviluppatore

Ideato da David Heinemeier Hansson, il progetto Omakub si propone di semplificare l’esperienza di configurazione di un ambiente di sviluppo su Linux, offrendo un setup preconfigurato che non richiede ore di configurazione manuale. Se siete sviluppatori, scaricate Ubuntu 24.04 – che tra l’altro è una versione LTS (Long Term Support), il cui supporto terminerà addirittura nel 2034, tra 10 anni – e installatelo.

A questo punto, aprite una finestra del terminale e impartite il comando seguente:

wget -qO- https://omakub.org/install | bash

Non si tratta di offrire soluzioni uniche a problemi comuni, ma di fornire un pacchetto coerente che molti sviluppatori apprezzeranno, in modo da avere tutti i software necessari già pronti per l’uso.

Cosa integra il pacchetto Omakub per Ubuntu 24.04 LTS

Omakub, pubblicato in questa pagina GitHub, include un ventaglio di software open source e commerciale. Non è pensato come una soluzione basata esclusivamente su software libero, perché tanti programmatori potrebbero ritenere la loro esperienza piuttosto limitante.

Il pacchetto integra Chrome come browser predefinito (oltre a Firefox), WhatsApp e Signal per la messaggistica istantanea, applicazioni multimediali come VLC, Spotify, Flameshot e Pinta.

Il lettore PDF prescelto è Xournal++ mentre come editor sono stati integrati Neovim (configurato via lazyvim) e Visual Studio Code.

La finestra del terminale, ampiamente utilizzata da ogni sviluppatore, risulta migliorata con l’adozione di Alacritty e Zellij. Alacritty è un emulatore di terminale veloce, leggero e altamente configurabile. È scritto in Rust ed è progettato con un’attenzione particolare alle prestazioni. Zellij è un gestore di tile per il terminale: permette di suddividere la finestra del terminale in più pannelli.

Parte integrante di Omakub sono strumenti come Docker, che permette di gestire la containerizzazione di applicazioni e progetti, e Lazydocker, un’interfaccia utente testuale per Docker, che semplifica la gestione e il monitoraggio dei container Docker.

gh CLI è l’interfaccia a riga di comando ufficiale di GitHub. Permette di interagire con GitHub direttamente dal terminale, facilitando l’esecuzione di operazioni che normalmente richiederebbero l’uso dell’interfaccia Web.

Grazie a mise, inoltre, il programmatore può gestire le varie versioni di linguaggi come Ruby, Node.js, Python, Go e Java. Consente di installare e utilizzare diverse versioni sullo stesso sistema, facilitando lo sviluppo e il testing di applicazioni che richiedono release specifiche.

Configurazioni già predisposte, per semplificare il lavoro del programmatore

La gestione dei pacchetti software e l’automatizzazione del processo di installazione, è solo una parte del lavoro che dovrebbe essere svolto e che invece Omakub consente di accelerare.

La parte forse più ostica risiede nell’impostazione dei file di configurazione dei vari pacchetti: il pacchetto che vi proponiamo integra impostazioni predefinite e già personalizzate in modo da assicurare un’esperienza coerente e facilitando l’adozione di Linux come piattaforma di riferimento per lo sviluppo software.

Interfaccia e scorciatoie da tastiera

L’interfaccia di Ubuntu è basata su GNOME, ma Omakub la modifica in modo incisivo per impostare il flusso di lavoro sull’uso prevalente della tastiera e incentrandolo sul tiling delle finestre.

L’autore del progetto ha aggiunto estensioni GNOME per migliorare l’esperienza utente, come la sfocatura della shell e la possibilità di nascondere le icone sul desktop. Il tema predefinito è Tokyo Night, ma è possibile scegliere tra altri temi completamente integrati. Omakub utilizza il font Cascadia Mono di Microsoft, ma offre anche alternative che possono essere facilmente cambiate tramite il comando omakub.

In termini di scorciatoie da tastiera, Omakub propone quelle che contribuiscono a migliorare l’efficienza e la produttività nel lavoro quotidiano. I tasti Super+1/2/3/… possono essere sfruttati per passare rapidamente tra diversi spazi di lavoro (workspace). Gli spazi di lavoro sono aree virtuali separate utilizzabili per organizzare finestre e applicazioni. Il tasto Super coincide con il tasto Windows sulla tastiera.

Con la pressione di F11 si può abilitare la modalità a schermo intero per la finestra attualmente attiva. Permette di massimizzare l’area di lavoro disponibile, nascondendo elementi come la barra delle applicazioni e le barre di stato.

Grazie alla combinazione Super+T si può richiedere il tiling delle finestre: in questo modo il sistema organizza automaticamente le finestre aperte in un layout senza sovrapposizioni.

Per aprire Ulauncher, un “lanciatore” di applicazioni veloce e configurabile (permette di cercare e avviare rapidamente programmi installati, eseguire comandi personalizzati e cercare sul Web), è invece sufficiente premere Super+Barra spaziatrice.

Utilizzando le combinazioni di tasti ALT+1/2/3/…, si possono avviare oppure portare in primo piano le applicazioni ancorate nel dock (barra delle applicazioni) in base alla loro posizione.

Le immagini nel testo dell’articolo sono tratte da questo video di presentazione. Credit immagine in apertura: iStock.com – Manfort Okolie



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Ho perso mio padre, ecco come ho clonato la sua voce

Ho perso mio padre, ecco come ho clonato la sua voce

Mercoledì 26/06/2024 08:31

All’inizio di aprile 2024 chi scrive quest’articolo è stato investito da un terribile lutto. La perdita di un genitore è uno dei passaggi della vita più sconvolgenti, un evento difficile – se non impossibile – da accettare e interiorizzare. Gli eventi pesano come un macigno e il pensiero corre spesso a chi non c’è più. Per molte persone, ascoltare la voce di una persona cara defunta può offrire conforto e un modo per mantenere un legame emotivo. Così, sono nate tante app che permettono di clonare la voce di chi non c’è più, partendo da un video o da una registrazione vocale della quale si è in possesso.

Chi scrive non è uno psicologo né un esperto di temi etici, sociologici e culturali. È però un tecnico, che sta vivendo un momento difficile. Così, nel desiderio di risentire ancora una volta la voce del papà babbo, ha voluto imboccare la strada più breve per raggiungere l’obiettivo.

Come l’intelligenza artificiale aiuta a clonare la voce di chi non c’è più

Utilizzare la voce di una persona deceduta potrebbe essere visto come una mancanza di rispetto, specialmente se non c’è stato consenso esplicito da parte della persona quando era in vita. Nel caso di specie, chi ha lasciato questo mondo era una persona che univa il bagaglio delle conoscenze di una vita con l’incessante e inesauribile voglia di imparare e di apprendere. Anche in campo tecnologico, nonostante l’età avanzata. Meravigliato dalle potenzialità dei motori di sintesi vocale, il caro estinto aveva quindi espresso un consenso consapevole e informato per l’utilizzo della sua voce.

Sulla piazza esistono diverse app che possono aiutare le persone a sentirsi più vicine ai loro cari scomparsi, alleviando il dolore del lutto. La clonazione della voce è uno strumento potente che, però, non dovrebbe essere abusato per fini commerciali.

Così, il sottoscritto ha pensato di utilizzare lo strumento Instant Voice Cloning di Eleven Labs per perseguire l’obiettivo e per finalità ovviamente del tutto personali.

Eleven Labs è un’azienda che si occupa di tecnologie di sintesi vocale basate sull’intelligenza artificiale. Il loro prodotto principale consente di generare voci artificiali realistiche e di clonare voci umane.

Il sistema messo a punto da Eleven Labs permette di replicare una voce umana utilizzando un campione audio della lunghezza minima di 60 secondi. Le tecniche avanzate di deep learning sviluppate da Eleven Labs prendono le mosse da dataset di registrazioni vocali e dalla rappresentazione vettoriale delle caratteristiche della voce, come timbro, intonazione e ritmo.

Preparazione del campione audio

Ben conoscendo le potenzialità di Eleven Labs, come primo passo si è quindi provveduto ad aprire con Audacity in versione portabile un video MP4 contenente (anche) la voce del caro estinto. Poiché di default Audacity non supporta il formato MP4, è bastato installare FFmpeg for Audacity.

Aprendo il video MP4, con il noto software di elaborazione audio, si sono rimossi con cura i rumori di fondo e il parlato riconducibile ad altri interlocutori.

Alla fine del lavoro, è bastato fare clic su File, Export, Export as MP3 per ottenere un file audio in formato MP3, con il campione vocale d’interesse.

Come creare un modello vocale su Eleven Labs

Possedendo un abbonamento Starter di Eleven Labs, si è fatto clic su Voices, Add generative or cloned voices, Instant Voice Cloning nell’interfaccia Web.

L’applicazione Web di Eleven Labs chiede a questo punto di assegnare un nome al modello vocale in procinto di creazione quindi di caricare lo spezzone audio di almeno un minuto. Si è quindi provveduto all’upload del file MP3 esportato in precedenza tramite l’interfaccia di Audacity.

Per procedere e avere la possibilità di cliccare sul pulsante Add voice è indispensabile dichiarare di impegnarsi a rispettare scrupolosamente i termini di utilizzo del servizio nonché di utilizzare il modello vocale solo ed esclusivamente per scopi leciti e ammessi dalle normative vigenti.

Il risultato proposto da Eleven Labs lascia di stucco

Semplicemente cliccando su Use, si può utilizzare il modello vocale generato dall’intelligenza artificiale di Eleven Labs per pronunciare qualunque testo, anche complesso e articolato.

Basta fare riferimento alla scheda Text-to-Speech (TTS), scrivere o incollare il testo nell’apposito riquadro quindi cliccare sul pulsante Generate speech. A questo proposito, va detto che ogni operazione di sintesi vocale con la generazione di audio riproducibile, va a consumare un certo quantitativo di token, disponibili ed elaborabili su base mensile. Eleven Labs indica, come “valore spannometrico”, la possibilità di elaborare intorno ai 30.000 caratteri al mese, equivalenti a 30 minuti di audio (piano Starter).

La qualità del risultato offerto dal modello vocale creato utilizzando Eleven Labs dipende fortemente dalla “bontà” del campione audio fornito in input. Ad ogni modo, pur non disponendo di registrazioni sonore piuttosto lunghe e a dispetto della presenza di qualche imperfezione, il risultato di solito impressiona positivamente.

Agendo sulle opzioni Stability, Similarity e Style Exaggeration, è possibile migliorare il comportamento del modello. Il parametro Stability controlla quanto la voce generata rimane coerente e stabile nel tempo. Un valore più alto produce una voce più costante e prevedibile; un valore più basso può introdurre più variazioni, rendendo la voce più naturale ma meno consistente.

L’impostazione Similarity determina quanto la voce generata è simile all’originale: valori più alti producono una voce più fedele all’originale; valori più bassi possono introdurre più variazioni o caratteristiche uniche. Infine, Style Exaggeration amplifica le caratteristiche stilistiche uniche della voce: un valore più alto enfatizza gli aspetti distintivi della voce, come l’accento o le inflessioni.

Il passo successivo: utilizzo delle API di Eleven Labs

Tutti i file audio generati ricorrendo al modello vocale di Eleven Labs possono essere scaricati in formato WAV o MP3. Il passaggio successivo, però, può essere l’utilizzo delle API (Application Programming Interface) fornite dalla piattaforma e il collegamento con un Large Language Model (LLM).

Le API di Eleven Labs consentono di inviare richieste e ricevere risposte in formato JSON. Si può ad esempio chiedere al modello generativo di Eleven Labs di generare un file audio riproducibile inviando la risposta ottenuta da un LLM, come conseguenza di uno specifico prompt.

Allo scopo si può utilizzare Voiceflow che permette di creare un assistente vocale interfacciandosi con le API di Eleven Labs.

Ogni voce creata o condivisa sulla piattaforma Eleven Labs è infatti contraddistinta con un identificativo univoco: cliccando su “ID” in corrispondenza del riquadro contenente il riferimento alla voce clonata, è possibile copiarlo automaticamente nell’area degli appunti. Semplicemente premendo CTRL+V, è possibile utilizzare tale riferimento nel codice che attiva il motore TTS di Eleven Labs da qualunque applicazione.

Questa guida ufficiale contiene diversi spunti di possibili utilizzi nei vari linguaggi di programmazione o dalla finestra del terminale (con cURL). Voiceflow propone questo esempio di integrazione con le API di Eleven Labs.

In conclusione, è bene sottolineare più volte che ciò che aiuta lo scrivente può non essere di ausilio per altri. Bisogna essere consapevoli che l’uso di una voce clonata può interferire con il processo di elaborazione del lutto o, addirittura, creare confusione emotiva. Quanto illustrato in questo articolo non vuole, non può e non deve costituire esortazione a comportarsi in maniera analoga.



Fonte: https:
Windows Foto non funziona: Microsoft rilascia una soluzione temporanea

Windows Foto non funziona: Microsoft rilascia una soluzione temporanea

Martedì 16/07/2024 17:31

Nell’ultimo periodo tanti utenti di Windows 11 hanno segnalato un problema con un’applicazione di sistema. Windows Foto non funziona: cliccando sulla sua icona o comunque sul collegamento che permette di avviare l’applicazione, il programma non viene mai caricato e il puntatore del mouse si trasforma per alcuni secondi nel classico circoletto rotante.

Secondo Microsoft, il problema riguarda essenzialmente le installazioni di Windows 11 23H2 e 22H2 che utilizzano una particolare regola (policy). Si tratta di “Prevent non-admin users from installing packaged Windows apps“, un’impostazione che impedisce l’installazione delle applicazioni Windows pacchettizzate (come quelle scaricabili dal Windows Store) da parte degli utenti non in possesso dei diritti di amministratore.

La policy non necessariamente può essere impostata via GPO/Active Directory ma anche con una semplice modifica a livello di registro di sistema (chiave HKLM\Software\Policies\Microsoft\Windows\Appx, valore BlockNonAdminUserInstall impostato a 1 per attivare la regola; 0 per disabilitarla).

La soluzione temporanea quando Windows Foto non funziona

Sebbene Microsoft faccia riferimento a specifiche versioni di Windows 11, la soluzione temporanea presentata dai tecnici dell’azienda di Redmond sembra avere una valenza molto più ampia. Si rivela quindi utile e di facile applicazione ogniqualvolta Windows Foto non funziona.

Il workaround descritto va comunque eventualmente considerato come una “misura di emergenza”, per tornare ad avviare Windows Foto normalmente. I tecnici Microsoft stanno infatti lavorando su una correzione che sarà distribuita nel più breve tempo possibile, verosimilmente nel corso del Patch Tuesday di agosto.

Microsoft suggerisce di scaricare e installare il pacchetto Windows App SDK, nella sua versione più recente e aggiornata.

Per procedere in tal senso, è necessario cliccare con il tasto destro sull’eseguibile quindi scegliere Esegui come amministratore. All’apertura della finestra del prompt dei comandi non è necessario compiere alcuna operazione: si chiuderà automaticamente al termine dell’installazione. Gli amministratori possono eventualmente aggiungere il parametro -quiet per evitare la comparsa della schermata del prompt.

In questo modo, dopo aver concluso l’installazione del pacchetto Windows App SDK, l’app Foto dovrebbe tornare ad avviarsi regolarmente.

Credit immagine in apertura: Microsoft



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Google Foto semplifica lo scambio rapido di file con una nuova funzione

Google Foto semplifica lo scambio rapido di file con una nuova funzione

Giovedì 01/08/2024 14:31

La grande attitudine delle applicazioni di Google a migliorarsi di continuo è chiara a tutti e per la felicità degli utenti anche in questo periodo si parla di alcuni aggiornamenti. Google Foto ad esempio potrebbe ben presto, secondo le indiscrezioni, offrire un’opzione per migliorare automaticamente le foto prima di condividerle. Questa opzione di miglioramento apparirebbe direttamente nel menu di condivisione, rendendola dunque anche più comoda da usare rispetto all’attuale feature utile per il miglioramento manuale delle foto prima della condivisione.

Questa funzionalità dovrebbe arrivare presto anche in pianta stabile: al momento è stata scoperta durante l’analisi del codice dell’app Google Foto. Ciò che è stato ravvisato è che quando si seleziona la voce “Migliora foto“, l’app mostra un confronto tra le immagini originali e migliorate. Tuttavia, durante il test, il confronto ha mostrato alcuni malfunzionamenti come la proposta di immagini vuote. Questo indica dunque che la funzionalità non è ancora pronta.

Google Foto si migliora ulteriormente, ecco la funzionalità che migliora le foto prima della condivisione

Questa funzionalità che Google Foto starebbe per adottare, sembra essere limitata alla condivisione di singole foto. Questo lascia evincere che gli utenti non potranno migliorare più foto contemporaneamente.

Questa però non sarebbe l’unica funzionalità a cui Google starebbe lavorando per l’app Foto. Secondo quanto riportato infatti, l’app potrebbe anche aggiungere un’opzione “Mostra altro” alla sezione Ricordi, consentendo così agli utenti di vedere più foto di una persona specifica. Tuttavia, è importante notare che, almeno al momento, Google non ha annunciato una tempistica per il rilascio di nessuna di queste funzionalità al pubblico.

Le informazioni scoperte finora si basano dunque solo sull’analisi del codice ed è possibile che le funzionalità in esame possano cambiare o non essere rilasciate affatto. Seguiranno dunque nuovi aggiornamenti in merito alla questione che sembra essere molto interessante soprattutto per chi ama condividere scatti perfetti.



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Pagine bianche dei numeri di cellulare italiani: attenzione perché continuano a circolare online

Pagine bianche dei numeri di cellulare italiani: attenzione perché continuano a circolare online

Sabato 31/08/2024 14:01

Le piattaforme online custodiscono un tesoro di valore inestimabile: petabyte di dati personali degli utenti. Quando si verifica un attacco informatico che porta alla sottrazione di dati altrui (data breach) le informazioni passano direttamente nei mani dei cybercriminali e possono essere rivendute sul “mercato nero” ad altri soggetti. Non c’è bisogno di rovistare nel dark web con Tor Browser: ci sono tanti forum raggiungibili attraverso il Web pubblico che propongono questi dati, gratuitamente o dietro un pagamento in denaro. Tra le tante informazioni pubblicate, ci sono anche pagine bianche dei numeri di cellulare italiani!

Il Garante Privacy italiano ha ripetutamente censurato e multato innumerevoli attività che hanno fatto uso di queste raccolte di dati perché trattasi di risorse acquisite come frutto di un trattamento illecito.

Le pagine bianche dei numeri di cellulare

Le pagine bianche sono un elenco degli abbonati telefonici in ordine alfabetico. Vi ricorderete certamente i vecchi elenchi telefonici cartacei. Ecco, lì dentro un tempo potevano figurare soltanto numerazioni fisse mentre da qualche tempo è autorizzata la pubblicazione delle utenze mobili. Sono pochi, ovviamente, gli utenti che aderiscono: soltanto una realtà aziendale può avere interesse a condividere un numero di cellulare. Non certo un privato.

Anzi, l’utenza mobile dovrebbe essere “sacra” perché legata a una sfera ancora più personale rispetto a una numerazione mobile. E invece, pagine bianche o no, gli utenti sono sempre più bersagliati oggigiorno dalle chiamate spam dei call center e di soggetti dalla dubbia identità. Vi abbiamo raccontato della truffa telefonica che sollecita a scegliere la tecnologia digitale per la connessione Internet. È una delle tante.

Ma da dove recuperano numeri di telefono, nomi e cognomi, indirizzi e altri dati personali gli spammer telefonici? A volte da consensi al trattamento dei dati forniti dagli utenti nell’ambito di iniziative promozionali, concorsi e così via. In altri casi, però, si pesca nel torbido e soggetti senza scrupoli sfruttano anche basi di dati acquisite da fonti non autorizzate, ad esempio a valle di attacchi informatici.

L’esempio dell’attacco a Facebook del 2021

Citiamo un esempio per tutti. Vi ricordate dell’incidente occorso a Facebook ai tempi dell’affaire Cambridge Analytica? Ecco, nell’aprile 2022 fu la volta della sottrazione di 100 milioni di numeri di telefono di utenti iscritti a WhatsApp con tanto di nomi e cognomi (19 milioni appartengono a italiani). Mentre ad aprile 2021, esattamente un anno dopo, un gruppo di sconosciuti effettuò una pesante attività di Web scraping sulle pagine di Facebook riuscendo a costruire una base dati relativa a 533 milioni di utenti, unendo nomi e cognomi a numeri di telefono personali, date di nascita, indirizzi email, lavoro svolto, sesso, locazione geografica, stato civile.

I dati personali degli italiani sono ancora pubblicati online, sui forum specializzati

Ad aprile 2021, il Garante reagì immediatamente pubblicando un importante provvedimento. “Chiunque sia entrato in possesso dei dati personali provenienti dalla violazione, che il loro eventuale utilizzo, anche per fini positivi, è vietato dalla normativa in materia di privacy, essendo tali informazioni frutto di un trattamento illecito“, si legge.

Eppure, com’era facile prevedere, il materiale composto scansionando le pagine del social network in blu resta ancora disponibile nei forum online. Basta fare un po’ di OSINT (Open source intelligence), per imbattersi in un colpo solo con le raccolte di dati in questione. Non solo. Basta usare il semplice operatore site: di Google e anteporre cache: all’URL di destinazione per accorgersi di come le informazioni sia tutt’oggi accessibile con un paio di clic, senza neppure effettuare una registrazione.

Il fatto è che non ci sono solo i dati rastrellati su Facebook nei forum “specializzati” ma anche informazioni sui clienti di alcune banche italiane, sugli utenti del Belpaese che utilizzano vari servizi online, il materiale rastrellato presso vari enti, su siti Web di aziende e professionisti,… E citiamo anche l’incidente occorso a un “serbatoio” di informazioni personali che ha portato alla pubblicazione non autorizzata di qualcosa come 27 miliardi di record.

Tutto materiale per gli attacchi phishing e vishing

È un grosso problema perché i criminali informatici possono mettere le mani su informazioni utilissime per lanciare attacchi phishing molto efficaci. Ecco il motivo delle campagne truffaldine che prendono di mira, con regolarità, gli italiani: si presentano sotto forma di messaggi, spesso SMS, inviati sui dispositivi mobili degli utenti. Ma anche di telefonate che hanno tutte le caratteristiche del vishing.

È ovvio che conoscendo numeri di telefono, nomi e cognomi, attività lavorativa, locazione geografica delle potenziali vittime i criminali informatici possono mettere a punto tentativi di aggressione che appaiono più convincenti. Vi segnaliamo un simpatico quiz per riconoscere il phishing e l’articolo in cui spieghiamo cos’è un URL e come scoprire quelli pericolosi.

Evitare che siano composte pagine bianche con i vostri dati personali

Parlando di Facebook, per difendersi da chi effettua lo scraping ovvero la raccolta su vasta scala di informazioni sul social network di Mark Zuckerberg (anche se la società afferma di essere molto più abile nell’individuare e nel neutralizzare questo tipo di attività…) è fondamentale accedere a Facebook come visitatore senza iscrizione o in incognito (CTRL+MAIUSC+N nella maggior parte dei browser, CTRL+MAIUSC+P con Firefox) per verificare quali informazioni si stanno condividendo pubblicamente.

Come regola generale si dovrebbero ridurre al minimo le informazioni personali presentate pubblicamente, quindi alle persone sconosciute e agli amici di amici.

Il problema è che quando i buoi sono ormai fuggiti dalla stalla, ovvero quando l’aggressione informatica c’è stata, è praticamente impossibile arginare la pubblicazione e la diffusione dei dati. Basti considerare che queste informazioni sono spesso illecitamente condivise anche attraverso la rete BitTorrent.

Dati personali alla mercé di chiunque

In questa immagine (fonte: Bleeping Computer) è riportato un esempio della struttura dei dati sottratti a Facebook qualche anno fa. Un semplice comando Linux come il seguente permetterebbe di estrarre dai file composti dopo l’attività di scraping su Facebook il numero di telefono di qualunque persona:

grep -Ri ./file.txt -e "nome:cognome"

In alternativa, digitando un comando come quello che segue si potrebbero potenzialmente estrarre tutti i dati relativi a un utente iscritto a Facebook (nell’immagine diffusa da Bleeping Computer si vede come il secondo dato sia l’ID Facebook):

grep -Ri ./file.txt -e ID_Facebook

Supponiamo che un aggressore voglia estrarre i dati e soprattutto rilevare il numero di telefono di una persona registrata su Facebook: dopo aver visitato il suo profilo questi dovrebbe soltanto premere la combinazione di tasti CTRL+U quindi CTRL+F per avviare una ricerca e infine digitare userID. A destra della stringa userID è mostrato l’identificativo Facebook dell’utente: sostituendolo a ID_Facebook nel comando precedente ecco che apparirà il numero di telefono della persona individuata.

Al posto del nome e cognome è addirittura possibile estrarre tutti gli utenti, insieme con i loro numeri di telefono, che risiedono in una certa località, lavorano per una specifica azienda o svolgono una certa attività. Impressionante. Altro che pagine bianche!

Minimizzazione dei dati

Abbiamo preso in esame il “caso Facebook” ma, come sottolineavamo in precedenza, ci sono volumi incalcolabili di dati pubblicati sul Web a valle di data breach. Anche a distanza di tempo è quindi essenziale comprendere la portata della problematica ed essere consapevoli che quei 533 milioni di record provenienti da Facebook possono ancora oggi essere utilizzati per fare danni. Così come qualunque altro dato personale rastrellato in seguito a un attacco informatico.

Il principio di minimizzazione dei dati contenuto nel Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) stabilisce che il titolare del trattamento debba raccogliere i dati in maniera adeguata, pertinente e limitata a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali le informazioni sono trattate.

Anche gli utenti dovrebbero poi evitare di condividere più dati di quelli espressamente richiesti per l’attivazione di un servizio o per l’accesso a esso.

Come verificare se il proprio numero di telefono è presente in qualche data breach

Un gruppo di sviluppatori italiani aveva a suo tempo realizzato e varato il sito HaveIbeenFacebooked per capire se il numero di telefono e altri dati personali fossero stati sottratti da Facebook.

A seguito del provvedimento dal Garante Privacy citato in precedenza, gli autori di HaveIbeenFacebooked hanno chiuso il servizio.

Vi sveliamo un segreto. Per controllare la presenza del proprio numero di telefono, eventualmente razziato da Facebook o a valle di altri data breach, si può però sempre usare Have I been pwned. Abbiamo già parlato a suo tempo della storia di Have I been pwned: l’autore, Troy Hunt, è ovviamente venuto in possesso anche dei 533 milioni di record provenienti dal social network di Mark Zuckerberg, ma facendo il suo servizio capo a una giurisdizione differente, ha ritenuto proseguire con le sue attività, peraltro utilissime.

Digitando il proprio numero di telefono mobile comprensivo di prefisso internazionale +39 nella casella di ricerca su Have I been pwned è possibile sapere se i propri dati siano nel leak di Facebook o sottratti nell’ambito di attacchi informatici sferrati nei confronti di altri soggetti.

La comparsa del messaggio “Oh no – pwned!” e della frase “Facebook: In April 2021, a large data set of over 500 million Facebook users was made freely available for download” conferma che i propri dati, compreso il numero di telefono, sono pubblicati nei file che continuano a circolare online. Una verifica è comunque opportuna anche perché ai tempi Facebook dichiarò che non avrebbe inviato alcuna notifica agli utenti. E anche altri soggetti è verosimile abbiano fatto altrettanto.



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Aree di lavoro, il nuovo PowerToy posiziona le finestre Windows in automatico

Aree di lavoro, il nuovo PowerToy posiziona le finestre Windows in automatico

Mercoledì 04/09/2024 20:30

Il pacchetto Microsoft PowerToys, che permette di arricchire le funzionalità standard di Windows con un set di caratteristiche evolute, cresce ancora in termini di offerta. Gli sviluppatori di Redmond hanno infatti aggiunto la nuova funzione Aree di lavoro che permette di riaprire automaticamente e disporre nelle posizioni occupate in precedenza, finestre e applicazioni.

Con Aree di lavoro, gli utenti di Windows 10 e Windows 11 possono salvare la configurazione delle finestre aperte e ripristinare la stessa struttura in qualunque momento. Il nuovo PowerToy si farà carico non soltanto di eseguire nuovamente ogni app precedentemente avviata ma anche di disporre ogni finestra sullo schermo proprio dove si trovava.

Come creare una nuova Area di lavoro e memorizzare la disposizione delle finestre

Dopo aver avviato Microsoft PowerToys per Windows 10 e 11, è possibile utilizzare la combinazione di tasti preimpostata (CTRL+Windows+ò) per creare una nuova area di lavoro. In alternativa, basta fare clic su Aree di lavoro nella colonna di sinistra e infine su Avvia editor.

A questo punto è sufficiente impostare le varie finestre come meglio si crede, accertandosi che sul sistema siano in esecuzione tutte le applicazioni che, tipicamente, si desiderano utilizzare.

Con un clic sul pulsante Acquisci, il PowerToy annota la lista delle applicazioni e la posizione di ogni singola finestra quindi permette di salvare la configurazione con un clic su Salva area di lavoro.

C’è una “chicca” da non perdere: spuntando la casella Crea collegamento sul desktop, si può creare un’icona sul desktop con la configurazione di programmi e finestre. Con un doppio clic sul collegamento, al momento del bisogno, l’area di lavoro sarà recuperata insieme con la sua specifica configurazione. È bene ricordarsi comunque di assegnare un nome a ogni area di lavoro, in modo da non fare confusione.

Originariamente sviluppati per Windows 95, i PowerToys sono da sempre il “raccoglitore” dei progetti personali creati dagli sviluppatori Microsoft. Quando raggiungono un sufficiente livello di maturità e possono davvero essere di aiuto per gli utenti, entrano a far parte del pacchetto.



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Sviluppo software con i chatbot e l’intelligenza artificiale

Sviluppo software con i chatbot e l’intelligenza artificiale

Venerdì 20/09/2024 19:31

Siamo sempre dell’avviso che l’intelligenza artificiale (IA) non può e non deve sostituire il ruolo degli sviluppatori. Quasi agli albori dei moderni chatbot, Matt Welsh si affrettò a dichiarare, anche provocatoriamente, che la programmazione informatica è morta. Più di recente noi stessi abbiamo strenuamente criticato la posizione di Jensen Huang, CEO di NVIDIA, che diceva: “non imparate a programmare, ormai c’è l’IA“. Lo sviluppo software è invece vivo e vegeto e può già oggi trarre enormi benefici dall’uso dei modelli generativi, in termini di produttività, efficienza e miglioramento dei flussi di lavoro.

Come usare i chatbot e l’IA per lo sviluppo software

Il pioniere della programmazione Brian Kernighan osserva che le macchine, e quindi le IA, possono automatizzare molti compiti, ma è l’ingegno umano che guida l’innovazione e lo sviluppo di soluzioni uniche. Per questo, il consiglio migliore per le nuove generazioni è quello di imparare a programmare e non distogliere mai, per troppo tempo, l’attenzione da questa pratica.

Un suggerimento diametralmente opposto a quello di Huang, sì, ma a nostro avviso molto più sensato e con i piedi per terra.

Il funzionamento dei Large Language Model (LLM) è ormai piuttosto chiaro: alcuni di questi modelli non solo abili solamente a rispondere a quesiti posti usando il linguaggio naturale ma brillano nelle attività di produzione del codice di programmazione. In questo senso, GitHub Copilot ha svolto un ruolo pionieristico grazie a un modello generativo addestrato utilizzando milioni di righe di codice provenienti da progetti open source pubblicati sulla piattaforma. E di recente è nato GitHub Copilot Workspace che, facendo perno sull’IA, sovrintende l’intero ciclo di vita di qualunque software.

L’innovazione, però, non deve arrestarsi semplicemente perché vari modelli generativi utilizzano codice disponibile pubblicamente per creare codice di programmazione funzionante.

Utilizzare l’intelligenza artificiale per lo sviluppo software

Sono tanti gli strumenti che gli sviluppatori possono oggi utilizzare per generare codice e velocizzare lo sviluppo delle loro applicazioni. Visual Studio, ad esempio, integra sia IntelliCode (basato sull’IA) che GitHub Copilot mentre Visual Studio Code permette di sfruttare un ampio numero di estensioni per intervenire direttamente sul codice mentre lo si compone nell’editor. Lo abbiamo visto nelle differenze tra Visual Studio e Visual Studio Code.

Nulla vieta, però, di usare i migliori chatbot per chiedere con un prompt inviato in linguaggio naturale di creare un’applicazione, generare una routine che risolva uno specifico problema, correggere un problema nel codice già sviluppato, ottimizzarlo, migliorarlo e aggiungere direttamente nuove funzionalità.

Certo, non c’è in questo caso un collegamento diretto con l’IDE (integrated development environment) oppure con l’editor di codice ma si possono comunque ottenere risposte preziose per abbozzare lo sviluppo software di un progetto, gestire problematiche di carattere generale o sistemare quelle righe di codice che proprio non si riuscivano a far funzionare.

I rischi di affidarsi ciecamente ai modelli generativi per generare codice di programmazione

C’è però anche il rovescio della medaglia. Affidarsi ciecamente ai modelli generativi per la generazione del codice presenta rischi significativi che è fondamentale considerare. In primo luogo, la qualità del codice generato può variare notevolmente. I modelli possono produrre codice con errori di sintassi o logica, che, se non individuati, possono portare a malfunzionamenti delle applicazioni. Il rischio è particolarmente elevato nel caso dei progetti complessi: qui anche un piccolo errore può avere conseguenze di vasta portata.

I modelli generativi possono non comprendere appieno il contesto specifico di un progetto. Questa mancanza di comprensione può tradursi in soluzioni inadeguate o non ottimali, che non soddisfano i requisiti funzionali o di business.

Un altro aspetto critico riguarda la sicurezza. I modelli che non sono addestrati sulle best practice di sicurezza possono generare codice vulnerabile, esponendo le applicazioni a rischi come SQL injection o buffer overflow. Ciò è particolarmente preoccupante in un’era in cui la sicurezza informatica è diventata una priorità assoluta.

L’abbiamo detto prima e in altri articoli: la qualità delle sorgenti utilizzate per addestrare inizialmente i modelli riveste un’importanza cruciale. E la presenza di problemi nel codice di programmazione pubblicato in rete è cosa estremamente comune. Le probabilità di ritrovarsi queste deficienze nell’output generato sono quindi elevate.

Infine, va detto che se il codice generato è basato su materiali protetti da diritti d’autore, ciò potrebbe esporre le aziende a potenziali contenziosi legali.

Avanti, ma con cervello

I modelli generativi, quindi, sono un ausilio preziosissimo per lo sviluppatore ma sono necessarie competenze e un notevole bagaglio esperienziale per accertarsi che il codice generato dall’IA non presenti problemi sui vari piani.

Noi stessi abbiamo messo alla prova i principali chatbot utilizzando anche una modalità dumb: abbiamo cioè provato a richiedere lo sviluppo di un’applicazione da zero, verificando di volta in volta la qualità dei risultati ottenuti.

Programmare con ChatGPT è certamente possibile e il codice prodotto è indubbiamente di migliore qualità rispetto al passato. Le abilità di reasoning che OpenAI ha introdotto con o1 contribuiscono a migliorare ulteriormente il quadro: perché la programmazione è per eccellenza la disciplina che utilizza una logica ferrea per la risoluzione di problemi pratici.

Quanto prodotto, però, deve essere posto attentamente al setaccio: non aspettatevi di poter ottenere un’applicazione funzionante in due o tre passaggi di ChatGPT.

Piuttosto, affrontate un problema di programmazione in più passaggi e con un approccio “a blocchi“. Accertandovi sempre di che cosa ha prodotto il modello.

Come usare ChatGPT per generare codice

Per utilizzare ChatGPT e generare codice di programmazione funzionante, è possibile descrivere ciò che si desidera ottenere usando il linguaggio naturale. È però bene essere il più tecnici possibile, fornendo dettagli e, possibilmente, spunti di alto livello per la produzione del codice. È altresì importante specificare chiaramente il linguaggio da usare, esigenze e obiettivi.

Dopo la produzione del primo output, è possibile iniziare a conversare con ChatGPT indicando quali modifiche apportare al codice generato in precedenza. Con una serie di operazioni di “copia e incolla”, si può verificare il comportamento del codice lato IDE ed apportare tutte le correzioni e le migliorie necessarie.

È importante parlare con ChatGPT usando un linguaggio tecnico: chi è un programmatore ed è abituato a lavorare con cicli for, while, variabili, clausole if, funzioni, subroutine, classi e così via, può e anzi deve usare proprio questo linguaggio. Deve “fare le pulci” al codice indicando espressamente al modello generativo cosa non funziona e richiamando costrutti, variabili e strutture con i loro nomi.

In questo modo, gli output prodotti da ChatGPT tenderanno a essere qualitativamente elevati e risponderanno in maniera molto più puntuale alle specifiche esigenze del programmatore.

Cerebras Inference: lo strumento che ci ha lasciato a bocca aperta

ChatGPT talvolta tende a manifestare inutili “deviazioni dal seminato”, soprattutto quando il codice da elaborare in un sol colpo diventa lungo e complesso. I Claude Artifacts sono eccellenti ma per gli utenti in possesso di un account free le limitazioni sono piuttosto severe.

Cerebras Inference è un chatbot che fa davvero il vuoto dietro di sé. Utilizza un’architettura di base chiamata Wafer Scale Engine (WSE), un processore dedicato all’elaborazione di modelli di reti neurali. Il modello è rappresentato come una matrice di pesi e bias, memorizzati nella memoria del chip WSE.

Una volta caricato il modello, WSE esegue l’inferenza sui dati di input con un processo a elevata parallelizzazione che accelera enormemente l’esecuzione.

Utilizzando un approccio simile a quello adoperato nel caso di ChatGPT e descritto al paragrafo precedente, nel caso di Cerebras Inference lo sviluppatore si troverà dinanzi a risposte fornite in un battito di ciglia! Qualcosa di mai visto prima, almeno fino ad oggi!

I dati parlano chiaro, per le nostre richieste complesse su vari linguaggi di programmazione, Cerebras Inference ha sempre risposto in media in circa mezzo secondo con una velocità in termini di token al secondo (t/s) pari a 8.000-10.000. Il sistema ha prodotto l’output al ritmo di oltre 2.000 t/s. Prestazioni davvero incredibili.

Ciò che fa Cerebras Inference è che tende a isolare i problemi e le sfide poste dall’utente. Quindi, al momento della generazione dell’ouput, il chatbot tende a evidenziare soltanto le modifiche da applicare sul codice preesistente.

Le API di Cerebras Inference: vi si aprirà un mondo

Il bello di Cerebras Inference è che al momento il sistema non prevede particolari limitazioni, se non nella gestione di prompt di lunghezza davvero improponibile.

Per adesso, Cerebras offre 1 milione di token gratuiti al giorno per gli sviluppatori, un incentivo goloso per testare e implementare nuove funzionalità nelle proprie applicazioni.

Le API Cerebras rappresentano una soluzione di inferenza IA a bassa latenza che offre ai developer una piattaforma per eseguire modelli generativi con prestazioni mai viste, facilitando la creazione di applicazioni complesse e innovative.

La maggior parte delle applicazioni di IA richiede una soluzione di inferenza a bassa latenza per funzionare in modo efficiente. Ciò è particolarmente vero per le applicazioni che richiedono di processare grandi quantità di dati in tempo reale, come ad esempio i sistemi di riconoscimento vocale, i sistemi di visione artificiale e quelli di previsione comportamentale.

Grazie alle API, si possono ad esempio integrare facilmente le soluzioni di inferenza Cerebras nelle proprie applicazioni. Esempi concreti sono disponibili nel repository GitHub ufficiale.

Al momento tutto questo è gratuito ed è peraltro basato sui modelli aperti Llama3.1-8B e Llama3.1-70B sviluppati da Meta.

Credit immagine in apertura: iStock.com – Userba011d64_201



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