Articolo di Cristiano Denanni
Se è incontestabile che i Social Network (Instagram in testa) hanno fatto delle immagini, statiche o in movimento, la loro essenza, riducendo testi e parole a titoli o didascalie.
Se è vero che "un'immagine racconta più di mille parole"; se è un dato di fatto che ogni giorno vengono caricati milioni di video e di fotografie sulle più svariate piattaforme, che ormai conosciamo meglio di casa nostra; se tutto questo risulta incontrovertibile, lo sono anche i paradossi che ne conseguono direttamente:
Sono due provocazioni? Solo in minima parte. E probabilmente solo per quanto riguarda la seconda affermazione.
Lo scatto fotografico nasce per terminare (chiedo perdono per il gioco concettuale) su di una stampa, quindi su carta.
La fotografia ha bisogno di uno spazio di visuale maggiore di quello di un qualunque smartphone, per quanto di definizione eccelsa, per acquisire "verità", o meglio quella che in gergo tecnico si definisce "profondità". Ovvero quella sensazione visiva e sensoriale che ci permette di capire e di "sentire" le distanze che intercorrono fra i vari soggetti dell'immagine.
Instagram su questo aspetto è indiscutibilmente inadatto a mostrare davvero una fotografia, per quanto ristretto e non ingrandibile risulta lo spazio riservato alle immagini.
Non mi dilungo sulle questioni tecniche, mi basta sottolineare che quanto sopra specificato concorre a tratteggiare un'idea un poco più vera, per quanto ancora approssimativa, di immagine fotografica.
La definizione in pixel, spesso notevole, dei monitor degli smartphone, dei tablet o dei computer, è diventata più uno strumento di marketing, invece di un dato che corrisponda effettivamente alla qualità di una fotografia. Lo si capisce, del resto è associato a un semplice numero: più cresce quel numero, più lo strumento in questione è valido, secondo una proporzione concettuale però errata.
È facile "vendere" questo messaggio. Sappiamo però che non è così. O meglio, non basta la risoluzione a costituire una buona immagine fotografica. Non per nulla alcuni smartphone che vantano definizioni maggiori di talune fotocamere, ne restituiscono poi in realtà immagini sensibilmente meno valide (per quanto d'impatto).
Ci siamo abituati a percepire quello che vediamo sul feed di Instagram o di Facebook come qualcosa di "alto" senza ombra di dubbio, di valido, di spettacolare, quantomeno di frequente. Ma la fotografia, come anche l'immagine video, portano con sé una "sapienza" (tecnica e concettuale) che molte volte è completamente ignorata da chi crea contenuti per queste piattaforme:
oltre alle questioni prettamente storiche e l'esperienza del professionista, o dell'amatore consapevole, sovente risultano molto lontane da ciò che si vede sui Social.
Se è vero insomma che proprio grazie all'avvento di queste piattaforme tutti possiamo permetterci di "dire la nostra" in modo pubblico, è vero anche che risulta ogni giorno più complicato distinguere fra cosa possiede una sostanza, una fonte (per quanto riguarda le notizie), un peso esperienziale, da ciò che non lo ha.
Esiste poi la questione dei fruitori di contenuti, ancora una volta noi.
Non basta che i creatori di contenuti siano consapevoli: per tutti i discorsi fin qui analizzati, dovrebbero esserlo anche gli “spettatori”. Che, come sappiamo, nel caso dei Social sono le stesse persone. Consapevoli significa conoscere quantomeno ciò descritto nei paragrafi sopra. E capire, quindi, che esiste molta più dignità e molto più spessore dietro ad una vera fotografia, come ad un vero clip video, ecc…
Proviamo a fare un esempio usando una metafora: il feed (o la bacheca) di una piattaforma Social è una vetrina. Ci si aspetterebbe che se quella fotografia in vetrina fosse di nostro interesse, entreremmo a visitare la mostra, o a sfogliarne il libro o il catalogo. Oppure – cambiando esempio - acquisteremmo il disco, se quei pochi secondi del brano ci fossero piaciuti, o ci recheremmo al cinema se quel trailer fosse di nostro gradimento.
Perché, e anche questa affermazione potrebbe risultare provocatoria, ma è invece solamente lapalissiana, lo schermo (anche il più bello) del nostro smartphone non è un cinema, e neppure una galleria d’arte. E quello che ci guardiamo sopra non è un film. Così come un file MP3 (compresso e svigorito di una miriade di sfumature di suono) non è la musica di un Hi-Fi (o quantomeno di un buon paio di cuffie chiuse).
Le potenzialità di una "vetrina estesa", se vogliamo concepirla così, quali risultano il Web e i Social, sono immense, nulla a che vedere coi canali tradizionali di una volta (dove per una volta si intende pochissimi anni fa), e questo è probabilmente un bene, una ricchezza entusiasmante di possibilità.
La questione però è che la fruizione vera di un prodotto, o di un'opera artistica, necessita di ben altri strumenti, ma soprattutto di ben altra attenzione. Attenzione che dobbiamo prestare noi.
E quindi? Potrebbe apparire assunta una conclusione sconfortante dalla analisi fino qui stilata. Invece voglio proporre una interpretazione propositiva.
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Esattamente in funzione della vastità e potenzialità della rete e degli strumenti Social, questi ultimi potrebbero divenire campo di formazione, di fianco all’attività effettiva di creazione e fruizione.
Noi tutti, ovvero coloro che propongono e coloro che consumano, potremmo apprendere, conoscere, crescere, approfondire. E lo potremmo fare - anche - attraverso lo strumento stesso di utilizzo.
Sia chiaro, non sto riferendomi a una formazione generica o di base che dir si voglia, qui non si ipotizza - né si può - sostituire la scuola col web. Però essere consapevoli che una vetrina non è un prodotto, né un’opera, risulta essere urgente e fondamentale.
Altrettanto importante del rendersi conto che varcando una soglia, fatta di un minimo di pazienza e disponibilità, è possibile andare molto più in là, ma soprattutto più in profondità.
Ci pare di perdere tempo a rallentare i ritmi di fruizione attuali, ad approfondire, diciamola tutta (senza timore): a studiare. Invece è il contrario; è solamente questione di abitudini, e naturalmente di priorità.
Vogliamo limitarci a passare sopra alle cose, come in un volo a migliaia di metri di distanza da come sono e dove si trovano effettivamente le questioni che ci interessano e appassionano?
O siamo disposti a selezionare e a capire qualcosa di più di un autore, o addirittura di un artista, per goderne incommensurabilmente di più?
Perché i nostri sensi e la nostra mente possono realizzare un’esperienza drasticamente più coinvolgente e appagante di quel minimo che ci siamo convinti di poter fare!
Articolo di Cristiano Denanni, fotografo professionista e scrittore
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